domenica 11 settembre 2011

NON DIMENTICHIAMOLO, MAI.

9.11.01
Ricordiamolo invece, e facendolo riflettiamo.
Riflettiamo soprattutto cosa implichi dimenticare.
Dimenticare fatti come questi è pericolosoqualcuno potrebbe approfittarsene, non permettiamolo.

mercoledì 31 agosto 2011

OMEOANTIPATIA (piccolo sfogo)

Christian Friedrich Samuel Hahnemann
(Meißen, 10 o 11 aprile 1755 – Parigi, 2 luglio 1843)
Se ne sente parlare sempre più spesso, dalle persone spesso più impensabili, e tutte le volte ho lo stesso pensiero in testa:
Possibile che nel 2011 dopo 200 anni di fallimenti totali, ci sia ancora qualcuno che crede in questa pagliacciata?
 
Perché i media non parlino di questa inaccettabile "moda", denunciando una volta per tutte quanto sia dannosa per la società, non si sa. No perchè, che non funziona è provato, o meglio, è stato provato che non ha poteri curativi superiori ad un placebo.
Sono convinto che ci sia un motivo a questa omertà, ma non condividerò le mie impressioni con voi in questa sede, perché sono congetture, ed io non sono un fuffaro.
Quello che mi sconcerta di più di questa pratica e della sua accanita schiera di praticanti è però il "credo".
 La pura "fede religiosa".
 Si sentono frasi del tipo: " io mi trovo bene" (ecco, giusto: TU, ad altri milioni di persone fa più o meno l'effetto di un bel niente), "la ricerca scientifica non conta con l'omeopatia" (in base a cosa possiamo dirlo?), "te lo dico io che funziona, fidati" (anche no, fidati!).
Per non parlare, poi, di quelli, I PIU', che dell'omeopatia manco sanno i fondamenti, zero totale, ma che se contraddetti sull'efficacia, dimostrano tutto il loro sapere omeopatico (nel senso di ultradiluito), del tipo che: "è un rimedio naturale" (certamente, peccato sia un rimedio... senza il rimedio), "è una cura che funziona con le cose che fanno venire il male di cui sei affetto, che ne so', se sei allergico alla polvere ti fanno un rimedio con la polvere" (ma allora perché non ti fai passare l'emicrania con una morsa! -zio Fester docet-). Insomma un concerto di: "come fai a dire che non funziona, dai, svegliati", "non dirmi che sei per la roba chimica", "te ti curi ancora con le "vecchie" medicine?".
 Sfido chiunque abbia parlato con un fedele omeopatico, a non essersi imbattuto in almeno una delle frasi citate.

C'è però un'altra categoria. Quella dei super informati (proprio come l'acqua con cui si curano), che hanno, come il miglior complottista che si rispetti, la verità in tasca.
Sentiremo allora frasi epiche come: "l'omeopatia opera nel campo della fisica quantistica, dell'infinitesimalmente piccolo, del non visibile, non è possibile provarne l'efficacia con i mezzi attuali".
A questa frase, che ho sentito una volta sola dal vivo (grazie a dio), ma che ho letto decine di volte sul web, è sempre seguito (nella mia immaginazione) un grande, gigantesco, pernacchio.
Non è possibile provarne l'efficacia!?!?!?
E perché mai di grazia?
Non è forse già stata acquisita una considerevole statistica che afferma senza ombra di dubbio la fallacia del "principio-non-principio" omeopatico?
Si.
Quindi? Mio caro omeopatico della stramaledetta, perché vedo le tue labbra muoversi ancora?
Se, e solo se, la statistica dicesse che la gente sottoposta a rimedi omeopatici avesse dei miglioramenti, si potrebbe iniziare a cercare il come, tale meccanismo, si attui. Mi sembra una cosa così intuitiva. Così pratica... 
Tu vai a prendere la pompa per gonfiare la bici se hai visto che gli pneumatici sono gonfi? Non credo.

Mi fermo.
Ha senso procedere? No.
Io non sono un medico, voi non siete la mia valvola di sfogo, questo post non cambierà certo le idee di certi zucconi cronici. Buon pro gli faccia! Che si curino con la loro acqua a peso d'oro. Ci si affoghino.
Mi viene da dire: è la selezione naturale. Ma poi penso, che ci sono persone che vi fanno ricorso solo perché nessuno ha spiegato loro cosa in realtà l'omeopatia sia. E allora, sia che s'intenda come sfogo, sia che si intenda come tentativo di divulgazione, io dico la mia ancora una volta.
Per concludere ringrazio "The Foe Hammer" per avermi fatto leggere quest'interessantissimo articolo pubblicato sul sito "BM&L" che mostra (insieme al caso di Samuele Riva, ed a quello del caso Benveniste) un esempio di quanto sia grande la malafede delle case omeopatiche.

venerdì 19 agosto 2011

IL CASO BENVENISTE: Rivelazioni, Restroscena e Discussione

"Apri la Tua Mente" è un modo carino per dire:
"Solo un Idiota Non Sarebbe d'Accordo Con Me"
L’analisi del caso Benveniste, ossia della ricerca che condusse all’ipotesi della memoria dell’acqua, ci permette di capire in cosa sia consistita e perché sia stata ordita una frode di così grandi dimensioni, rendendoci conto delle ragioni che, a quindici anni di distanza, rendono l’affaire ancora di attualità. La discussione di questa vicenda ci offre anche l’opportunità di proporre alla riflessione e al dibattito un tema di importanza epocale, quale la contaminazione, sotto la spinta di interessi economici, della medicina scientifica con pratiche anacronistiche.

Il fatto. Il 30 giugno 1988 l’autorevole rivista britannica Nature pubblicò un articolo dal titolo Human basophil degranulation triggered by a very dilute antiserum against IgE (333, 816-818), firmato da tredici autori[1]. Il gruppo di lavoro era coordinato dal biochimico francese Jacques Benveniste, professore presso l’Università di Parigi-Sud, direttore dell’Unité 200 dell’Institut National de la Santé e de la Recherche Médicale (INSERM) di Parigi. Gli altri istituti di provenienza dei ricercatori erano il Dipartimento di Zoologia dell’Università di Toronto in Canada, l’omologo istituto dell’Università di Gerusalemme, la facoltà medica dell’Università di Milano dalla quale provenivano due medici in servizio presso l’Ospedale Maggiore del capoluogo lombardo, in seguito dissociatisi dalle ipotesi sostenute dai principali autori. Fra questi ebbero un ruolo preminente Elizabeth Davenas e Bernard Poitevin.
Il lavoro sembrava dimostrare che la diluizione in acqua di un antisiero, spinta molto oltre la totale scomparsa di ogni sua molecola, fosse ancora in grado di produrre il suo effetto fisiologico di degranulazione dei granulociti basofili. Questo sorprendente risultato induceva gli autori ad ipotizzare che l’acqua sia in grado di trattenere impronte infinitesimali delle molecole con cui viene a contatto[2].
La ratio e la procedura di questo studio sono molto semplici, per cui sarà sufficiente una breve esposizione concettuale e tecnica per proseguire con cognizione di causa il nostro approfondimento.

La ricerca. Il lavoro apparteneva all’area dell’Immunologia e sfruttava le competenze di Benveniste sui meccanismi molecolari dell’allergia.
I fenomeni allergici sono caratterizzati dalla produzione di anticorpi capaci di reazione immediata, le immunoglobuline E (IgE) e dalla liberazione di varie sostanze, fra cui l’istamina, responsabili delle manifestazioni cutanee e dell’asma. L’istamina viene rilasciata da globuli bianchi che, per le loro caratteristiche chimico-tintoriali, sono detti granulociti basofili o semplicemente basofili. La degranulazione dei basofili non è altro che il rilascio di granuli contenenti istamina, fenomeno che può facilmente essere studiato mediante la colorazione con un composto colorante chiamato blu di toluidina. La degranulazione dei basofili può essere indotta artificialmente impiegando un siero anti-IgE. In condizioni normali il blu di toluidina reagisce con l’istamina producendo una tinta rossa che colora intensamente i basofili. Se i granuli contenenti istamina sono stati tutti rilasciati il basofilo, completamente degranulato, non si colora più. Si comprende, pertanto, come il metodo della colorazione con blu di toluidina si possa impiegare per testare l’effetto del siero anti-IgE: l’efficacia della sua azione coincide con la scomparsa al microscopio delle macchioline rosse che corrispondono alle cellule basofile.
La particolarità di questo progetto dell’INSERM consisteva nel fatto che il fenomeno della degranulazione causata dal siero anti-IgE veniva impiegato per testare la possibilità che il siero diluito oltre 120 volte potesse ancora produrre i suoi effetti: un’ipotesi priva di fondamento scientifico, anzi in contrasto con le più elementari conoscenze di chimica e fisica, vediamo perché.

La Legge di Avogadro. E’ una di quelle chiavi di volta su cui si fonda sia una parte della concezione scientifica della materia, sia i più umili calcoli di una minuta pratica di laboratorio. La Legge di Avogadro[3], inizialmente concepita per i gas e, poi, come tutte le leggi dei gas estesa alle soluzioni, enuncia: Volumi uguali nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione contengono lo stesso numero di molecole. Stabilendo per la prima volta un rapporto fra numero di molecole e volume, la legge ci consente di definire quante molecole di una sostanza sono presenti in un dato volume di gas o di acqua. Il numero fisso di molecole per centimetro cubico è pari a 6,025 x 1023 e prende il nome di Numero di Avogadro.
Diluendo in 100 millilitri (o c.c.) il nostro siero varie volte, alla 13a diluizione abbiamo la certezza che non c’è più neanche una molecola: calcolare per credere!
E’ lecito chiedersi perché un team di ricercatori che ha superato da tempo l’età delle prime lezioni di chimica chieda ed ottenga finanziamenti per testare un siero che travaserà[4] per 120 volte in 100 ml d’acqua fino alla paradossale concentrazione di 10-120 M? Se si è al corrente della enorme mole di progetti di ricerca seri, fondati e referenziati che ogni anno rimangono inattuati per mancanza di fondi, è facile dirigere i sospetti verso interessi estranei alla comunità scientifica[5].

La pubblicazione. La pubblicazione su una rivista scientifica, come è noto, segue tutt’altri criteri rispetto all’editoria giornalistica; si tratta infatti di un atto di comunicazione alla comunità scientifica internazionale di risultati di assoluto rilievo di ricerche condotte nel più rigoroso rispetto del metodo sperimentale, previo accurato esame e giudizio di merito da parte di una commissione di referees che nel caso di Nature include sempre i maggiori esperti del settore, frequentemente insigniti del premio Nobel. Non sorprende, perciò, che l’apparire di un simile articolo destasse stupore e sollevasse le più indignate proteste da parte di molti ricercatori e responsabili di istituti scientifici. Lo stesso direttore della rivista, John Maddox, fu oggetto di attacchi molto duri “per aver pubblicato idiozie del genere e per aver con ciò dato credito ad idee a dir poco dubbie.”[6] Il rigore formale con cui era stata condotta una parte di quello studio non avrebbe dovuto impedire ai referees e al direttore, garante della loro serietà e tutore del prestigio della rivista, di rendersi conto dell’infondatezza dell’ipotesi testata e dell’improponibilità di una procedura fondata su preconcetti magici quali un’azione molecolare prodotta in assenza di molecole o lo sprigionarsi di una “forza vitale” grazie allo scuotimento dell’acqua. Si chiedeva al direttore di scusarsi per un errore così grave e di dimettersi per non compromettere la reputazione della rivista. “La sua risposta fu che la pubblicazione e la critica che sarebbe seguita da parte della comunità scientifica, avrebbero messo a tacere le proteste dei fautori dell’omeopatia secondo i quali gli esperimenti omeopatici non avevano mai trovato spazio nelle riviste scientifiche per via dei pregiudizi nei loro confronti, pregiudizi nati a causa della resistenza della comunità scientifica a prenderli sul serio.”[7]
Ad onor del vero, si deve ricordare che John Maddox aveva accompagnato l’articolo con una nota dal titolo “Quando credere all’incredibile”[8], in cui precisava che il fenomeno descritto non aveva ancora trovato una spiegazione scientifica ed invitava i lettori a non emettere giudizi fino a quando una commissione di esperti non avesse assistito alla ripetizione degli esperimenti e ne avesse controllato rigorosamente i risultati. 

La commissione di indagine presieduta da Maddox. L’indagine sulla ricerca condotta presso i laboratori parigini sembrava, perciò, già programmata quando si era decisa la pubblicazione e, probabilmente, anche il nome del presidente della commissione che avrebbe effettuato i controlli e le ispezioni era dato per certo. John Maddox, nato nel 1925, aveva studiato Fisica ottenendo anche degli incarichi di insegnamento presso il Dipartimento di Fisica Teorica dell’Università di Manchester. Sebbene godesse di ottima fama, veniva guardato con sospetto da una parte della comunità scientifica perché aveva un curriculum da giornalista e non da accademico o da ricercatore. Aveva lavorato, infatti, al Manchester Guardian per 10 anni come giornalista scientifico. Era già stato direttore di Nature, dal 1966 al 1973, quando nel 1980 riassunse l’incarico[9]. Probabilmente coloro che avrebbero voluto uno scienziato di provato valore a dirigere la più prestigiosa impresa editoriale nel campo delle scienze naturali e biomediche, vedevano in questo episodio la conferma dei loro dubbi sull’opportunità di lasciare su una poltrona così importante qualcuno che non ritenevano sufficientemente preparato. Maddox si rendeva conto che presiedere la commissione sul “caso Benveniste” equivaleva a sottoporsi ad un esame di idoneità cui non poteva sottrarsi, pena le dimissioni dall’incarico.
Sapendo di non potersi permettere di fallire e che l’esito peggiore dell’indagine sarebbe stato non riuscire a svelare il mistero di quei risultati che andavano contro ogni logica e conoscenza scientifica, Maddox mise la massima cura nella selezione dei commissari che lo avrebbero affiancato nel delicato compito. La scelta cadde su uno studioso pratico di tecniche di laboratorio, che conosceva a fondo la realtà della ricerca per esserne un protagonista e, soprattutto, era specializzato nel riconoscimento di errori tecnici e frodi nella ricerca biomedica di base, ossia Walter W. Stewart; e sul maggior esperto in trucchi e tecniche illusionistiche, James Randi.
Quest’ultimo, a differenza di quanto talvolta si legge, non è un illusionista ma uno studioso che ha dedicato gran parte della propria vita a smascherare guaritori, truffatori, parapsicologi, persone che si dichiaravano in possesso di poteri paranormali, ecc. Per far questo ha imparato una grande quantità di tecniche che richiedono lunghi e complessi addestramenti, così che in un programma televisivo che lo ha reso famoso era in grado di mostrare egli stesso i trucchi dei presunti maghi[10].
Il sopralluogo. La commissione, giunta nel laboratorio dell’INSERM, fece richiesta di ripetere gli esperimenti limitandosi ad assistere e riservandosi di partecipare in una fase successiva. Sarebbero rimasti a Parigi una settimana, ma le impressioni iniziali fecero loro dubitare che ne sarebbero venuti a capo tanto presto.
Gli esperimenti ripetuti dai collaboratori di Benveniste riuscirono perfettamente, anche se alcune cose apparivano strane. Ad esempio la registrazione dei dati era affidata sempre alla stessa ricercatrice, la quale li annotava su un quaderno di laboratorio. Si trattava della prima firmataria dell’articolo: Elizabeth Davenas. Le pagine del quaderno erano numerate come quelle di un libro contabile, per cui in teoria non vi poteva essere una grossolana manomissione come l’aggiunta o l’eliminazione di una pagina. A James Randi non era sfuggito, però, che la Davenas annotava i dati a matita e portava il quaderno a casa, dove avrebbe provveduto a riscriverli con inchiostro indelebile. Inoltre rilevarono che la conta dei basofili degranulati non era delegata solo alla Davenas, ma ella soltanto aveva riscontrato i dati favorevoli all’ipotesi che l’acqua “ricordasse” gli anticorpi anti-IgE. Prese corpo il sospetto che non si trattasse di un errore, ma di una frode astutamente architettata, così che si decise di intervenire secondo un metodo suggerito da Randi, ossia impiegando una procedura estremamente efficace per prevenire la manomissione fraudolenta.

Il “Metodo Randi”. Le provette contenenti il siero diluito furono fatte etichettare dalla Davenas e l’intera procedura fu videoregistrata, dando alla maggiore indiziata la certezza di sapere in quali provette fosse il siero ancora attivo, in quali quello troppo diluito per poter degranulare i basofili e in quali acqua pura.
Quando la ricercatrice andò via, nella stanza del laboratorio in cui aveva lasciato le provette, Stewart, Randi e Maddox, dopo aver oscurato le finestre ed essersi accertati che non vi fossero telecamere o microfoni dei ricercatori, accesero di nuovo la loro videocamera per registrare quanto si apprestavano a fare.
Tolsero le etichette e le sostituirono con delle altre, numerate secondo un codice casuale inventato al momento e annotato su un foglio di carta. In questo modo, se la frode consisteva nel contaminare di nascosto le provette che contenevano di fatto solo acqua con siero degranulante, questa operazione sarebbe risultata oltremodo difficile, perché non era più possibile sapere quali provette manomettere. Per essere certi che il codice delle etichette, necessario per proseguire l’esperimento il giorno dopo, non fosse accessibile, il pezzo di carta su cui era scritto fu avvolto in un foglio di alluminio, ripiegato e custodito in una busta sigillata con un particolare tipo di adesivo che avrebbe consentito il facile rilievo delle impronte digitali di chi avesse tentato di aprirla. La busta fu attaccata al soffitto del laboratorio. A questo punto il team composto dai ricercatori e dai membri della commissione poteva lavorare, come si usa dire nel gergo della ricerca, in cieco. Cioè nel cimentare i basofili con le soluzioni si andava alla cieca, non sapendo quando si stessero impiegando le diluizioni contenenti anticorpi e quando acqua senza tracce di siero. Aggiunto il blu di toluidina, a fine giornata tutti andarono via, solo James Randi si attardò un po’ e, non visto, tracciò dei segni sul pavimento per marcare la posizione della scala che era stata impiegata per attaccare la busta al soffitto.
James Randi riferisce che il giorno dopo, quando andarono in laboratorio per effettuare la conta dei basofili colorati di rosso, Elizabeth Davenas e gli altri ricercatori sembravano tesi e preoccupati, mentre Benveniste era di buon umore ed ostentava grande sicurezza, al punto di aver convocato i fotografi ed ordinato lo champagne. Questo atteggiamento, se si escludono doti di recitazione degne di un attore professionista, faceva propendere per la buona fede del direttore dell’Unità 200.
Estratti i codici dalla busta si procedette alla conta e, con questa, si rovinò la festa a Benveniste: le diluizioni omeopatiche non producevano alcun effetto, ovvero l’acqua non rivelava alcuna proprietà magica come il ricordo e la creazione del fantasma di milioni di molecole.
Il risultato era così nettamente evidente da non concedere alibi come quello invocato dagli indagati, ossia di un errore nella realizzazione del campione statistico. Trilussa diceva: “La statistica è quella cosa che se tu hai mangiato due polli ed io nessuno, abbiamo mangiato un pollo a testa”, ma se i polli mancano del tutto -anche in senso metaforico- c’è poco da invocare la statistica: si rimane tutti a bocca asciutta. A quel punto la frode era stata evidenziata senza ombra di dubbio. La busta che custodiva il foglio avvolto nell’alluminio su cui erano scritti i codici delle provette, recava lievi segni dovuti ad un tentativo di effrazione con un oggetto appuntito e, d’altra parte, Randi nell’entrare in laboratorio aveva notato la scala spostata dalla posizione in cui l’aveva lasciata la sera prima; spostamento reso maggiormente evidente dai segni che aveva tracciato sul pavimento. Si riteneva che le chiavi del laboratorio le avesse solo Benveniste ma, in assenza di dati certi al riguardo, ogni illazione è lecita.
Il risultato dell’accertamento premiò più di ogni altro John Maddox, che da tutta la vicenda ottenne un consolidamento della stima di cui godeva presso lo staff della rivista da lui diretta[11] ed una riabilitazione agli occhi dei suoi detrattori. La sua linea di condotta era apparsa saggia oltre che vincente in quanto, prima la sua rispettosa tolleranza, interpretando quello spirito liberal-democratico tanto caro alla cultura britannica, aveva consentito la pubblicazione del lavoro e, dopo, da vero paladino della scienza aveva condotto la squadra di esperti che, attraverso la verifica empirico-logica, aveva ristabilito la verità[12].
Era davvero importante una risposta chiara ed autorevole al clamore ed al risalto con il quale i mezzi di comunicazione di massa avevano diffuso ed amplificato la notizia della “eccezionale scoperta”, seguendo il vecchio adagio giornalistico secondo cui un cane che morde l’uomo non è una notizia, ma se un uomo ha morso un cane gli si dovrà dare il massimo rilievo possibile. Si giunse perfino ad intervistare vari premi Nobel per conoscerne l’ovvio e scontato parere, che avrebbe aumentato l’attenzione e l’interesse per il servizio televisivo o radiofonico, così come per l’articolo del quotidiano: in Italia si diede il microfono a Rita Levi Montalcini, in Francia a Daniel Bover.
Per la verità nessuno scienziato degno di questo nome aveva preso sul serio i risultati e l’interpretazione di Davenas e collaboratori, infatti al riguardo Skrabanek e Mc Cormick osservano che la grossolanità della pretesa è di quelle che presuppongono una crassa ignoranza in termini di cultura generale e consapevolezza della realtà su cui si reggono i valori empirici della scienza: “Le conseguenze per la fisica sarebbero state più profonde di quelle che ebbe la scoperta che la terra è sferica. La scienza, così come la conosciamo, avrebbe dovuto essere cancellata e riscritta da capo.”[13]
Ma la commissione di Nature non fu l’unica a sottoporre ad esame l’ipotesi della memoria dell’acqua. Sono poche le fonti che riportano di una sperimentazione molto seria che verificava il lavoro dell’équipe di Benveniste. Lo studio fu promosso da Science et vie, rivista francese di divulgazione scientifica il cui prestigio è legato ad un attivo impegno a tutela della salute dei cittadini. I redattori della rivista ritennero un proprio dovere morale partecipare all’accertamento della verità, anche in considerazione del fatto che in Francia, in quel periodo, un medico su quattro prescriveva rimedi omeopatici.
La ricerca promossa da Science et vie fu condotta quello stesso anno presso il laboratorio allergologico del Rothschild Hospital di Parigi: in nessuna delle prove fu mai possibile assistere ad un fenomeno che desse adito a qualche dubbio. Un articolo pubblicato su Scientist, fornendo un ottimo resoconto della ricerca, stigmatizzava l’amplificazione da parte del sistema di comunicazione di massa, affermando che gli scienziati francesi avevano poco da dire, laddove la stampa francese diceva davvero troppo[14].
A coloro che si rivolgono in fiduciosa buona fede all’omeopatia giova ricordare che uno dei maggiori omeopati del mondo, tenace sostenitore di un’omeopatia -a suo dire- “scientifica”, David Reilly, subito dopo l’annuncio dei risultati di Davenas e soci ebbe a dire: “Se la cosa si dimostra priva di fondamento avremo dimostrato che l’omeopatia è uno dei più grandi incidenti di percorso della scienza medica, una follia di tali proporzioni da meritare uno studio a parte.”[15]
La dimostrazione che si trattava di una frode dovrebbe indurre gli omeopati in buona fede, così come i pazienti, a seguire Reilly e ad abbandonare questa follia.

L’accertamento della commissione e la verifica indipendente del laboratorio allergologico francese, erano più che sufficienti perché nel mondo scientifico si considerasse l’affaire Benveniste un “caso chiuso”. Si deve osservare, però, che quanto era emerso durante il controllo non avrebbe lasciato indifferente un magistrato, una corte di giustizia o anche un semplice cittadino che non accetta di essere truffato. Molti interrogativi, che andavano dal perché di quella strana ricerca a chi l’avesse finanziata e a come si fosse giunti alla vera e propria frode dei risultati falsi, sembravano trovare risposta nelle vicende passate e presenti dell’équipe dell’INSERM.

 Retroscena e rivelazioni. Scoppiato lo scandalo presso il laboratorio dell’Unità 200, dopo la dissociazione dei due Italiani, un altro firmatario dell’articolo, Pierre Belon, prima prese le distanze dalla ricerca e, poi, ruppe i rapporti con Benveniste. La situazione diveniva ogni giorno più difficile, fino a quando Philippe Lazar, direttore generale dell’INSERM, minacciò il licenziamento dell’intera équipe. La crisi del gruppo di ricerca dovuta allo smascheramento da parte della commissione di Nature, ci riporta al quesito che ci siamo posti nel paragrafo sulla legge di Avogadro e che si può sintetizzare così: perché mai quegli esperimenti e chi li ha finanziati?
Rosario Brancato e Maurizio Pandolfi, due medici oculisti, docenti universitari rispettivamente al San Raffaele di Milano e all’Università di Lund in Svezia, si sono occupati della vicenda in un loro peraltro piacevole e brillante saggio recente[16] in cui, però, riflettono ingenuamente quanto gli autori del “piano” volevano si credesse: “Ci si può chiedere se gli autori avessero un qualche contatto con l’omeopatia. Benveniste no ma altri due erano medici omeopatici, una circostanza che tinse di sospetto lo scetticismo di molti.”[17]
Brancato e Pandolfi si sbagliano di grosso, se così non fosse bisognerebbe spiegare in che modo Benveniste si sarebbe convinto a testare le funzioni dell’acqua diluita nell’acqua e, a sua volta, come avrebbe convinto il Ministero a finanziarlo. Ma le cose non stavano così. La chiave di volta per comprendere l’origine del progetto ed i ruoli dei singoli si chiama Bernard Poitevin.
Poitevin, che abbiamo citato fra i membri del gruppo di ricerca, era medico. Laureatosi a Nantes nel 1978, fu estraneo a pratiche terapeutiche non scientifiche fino a quando suo padre adottivo fu curato con l’omeopatia, circostanza che gli consentì di conoscere questo complesso ed antico modo di sfruttare l’effetto placebo, camuffandolo sotto le spoglie di una fantomatica energia che si sprigionerebbe dalla diluizione accompagnata a scuotimento di sostanze che in congrue quantità sarebbero responsabili dei sintomi che si vogliono curare. Poitevin fiutò l’affare costituito dalla legittimazione di queste pratiche che, anche in virtù della crescente sfiducia verso un sistema sanitario sempre più compromesso con interessi ed opportunismi politici, sembrava avere buone possibilità di affermazione. Il primo passo lo compì nel 1980 ottenendo la tesi di dottorato in immunologia presso il laboratorio di Benveniste. Il campo immunologico che allora, più di oggi, si presentava come un’area vasta e largamente insondata di fenomeni spesso capricciosi ed inspiegabili, gli parve l’anello di congiunzione ideale fra l’omeopatia e la scienza. Il passo successivo fu presentare Michel Aubin, direttore scientifico dei Laboratoires Homéopathiques de France (LHF), una casa farmaceutica omeopatica, a Benveniste. L’incontro è cruciale perché comporta la “conversione” all’omeopatia del direttore dell’Unità 200. Nel 1982 Benveniste firma con Aubin un contratto per studiare l’attività dei prodotti omeopatici nei meccanismi dell’allergia. In altre parole il laboratorio viene finanziato per la prima volta dall’industria omeopatica per lavorare su suoi progetti. Non è noto quale sia stato, in quel periodo, il primum movens che ha attratto su quel sodalizio l’attenzione della maggiore delle industrie produttrici di rimedi omeopatici in Francia, la Boiron. Fatto sta che nel 1983 Benveniste, dopo aver rinnovato per altri due anni il contratto con la LHF di Aubin, firma un contratto anche con la Boiron.
 Poitevin diviene consigliere scientifico della LHF e, in questa qualità, svolge la funzione di supervisore nel laboratorio di Benveniste, coadiuvato da Beatrice Descours, che lavora in qualità di tecnico di laboratorio per la Boiron. Alla fine del 1983, per motivi poco chiari, la Descours si dimette ed al suo posto è assunta Elizabeth Davenas. Da notare che fin dall’inizio la Davenas ha lavorato presso il laboratorio dell’Unità 200 con lo stipendio pagato dalla Boiron.
Conosciuti questi fatti, il quadro d’insieme è molto più chiaro. La decisione di realizzare questo “geniale” progetto di ricerca spetta ad un nucleo di omeopati che da anni lavora a tutti gli effetti per l’industria omeopatica, anche se utilizza in parte una struttura e dei fondi pubblici.
Durante il 1988, qualche mese prima della pubblicazione su Nature, la Boiron acquistò la LHF, diventando così l’unica finanziatrice dei progetti di ricerca di Benveniste. Le due industrie di rimedi omeopatici fra il 1982 e il 1986 investirono tra i duecentomila ed i trecentomila franchi l’anno, nel 1987 e nel 1988 circa ottocentomila l’anno, il 1989 un milione di franchi. Complessivamente il sostegno all’Unità 200, fino alla pubblicazione dell’articolo, si stima intorno ai quattro milioni di franchi.
Dunque, la “memoria dell’acqua” è frutto di un piano architettato e finanziato dall’industria omeopatica per guadagnare una patente di scientificità ai propri prodotti, allo scopo di conquistare quote sempre più estese di mercato grazie alla persuasione dei medici. Non stupisce, perciò, che il piano prevedesse anche un escamotage per evitare l’incriminazione per truffa.
I ricercatori dell’Unità 200 erano ben consapevoli del fatto che la ripetizione degli esperimenti in laboratori indipendenti avrebbe presto dimostrato l’impossibilità di ottenere i loro incredibili risultati, così introdussero nel loro lavoro un errore di campionatura statistica. L’intento era quello di scaricare su quell’errore la responsabilità dei dati ottenuti, per poter dichiarare la propria buona fede. Se un simile trucco poteva aver presa nel corso di un processo su una corte ben disposta, non aveva certo possibilità di sviare la comunità scientifica. A tale proposito si può osservare, visto che si intendeva ingannare i medici oltre che i comuni cittadini, che Benveniste e soci puntavano sull’ignoranza dei clinici francesi in materia di statistica. E non erano i soli, considerato che la direzione generale dell’INSERM per salvare la reputazione dell’istituzione, incaricò il direttore dell’Unità 292, Alfred Spira, uno statistico, di ripetere gli esperimenti cercando di dimostrare che con l’errore di campionatura fosse possibile ottenere i risultati di Benveniste. Ovviamente le prove sperimentali ebbero ancora una volta esito negativo, ma Spira riuscì, se non altro, ad allontanare l’attenzione dal problema vero.
 Il prestigio dell’Istituto sembrava comunque compromesso, tanto che Philippe Lazar voleva che Benveniste andasse via o, per lo meno, fece in modo che si sapesse di questa sua volontà; accettò, invece, di confermarlo nell’incarico per altri quattro anni, ossia fino a scadenza del mandato nel 1992, a patto che la Davenas -ritenuta da tutti la vera responsabile della frode- fosse allontanata[18].
Discussione. Uno dei motivi che ci ha spinto a studiare il caso Benveniste e a proporre in uno scritto una sintesi dei fatti noti e delle nostre riflessioni è che l’accertamento della verità che condusse alla soluzione di quel caso e, conseguentemente, a porre la parola fine ad ogni disputa sul  presunto fondamento scientifico dell’omeopatia, oggi sembra essere del tutto ignorato.
L’esemplarità del caso aveva un enorme valore, perché dimostrava che l’unica volta, in assoluto, che si registrava un fenomeno rilevato scientificamente che obbedisse al dogma omeopatico, si era in presenza di una truffa. Purtroppo, se si eccettuano gli operatori in buona fede, ciò che la quotidiana esperienza ci propone ad un livello un po’ più alto e generale della realtà del singolo che vende o somministra prodotti omeopatici, è molto chiaro. Da una parte c’è chi sostiene in forma propagandistica delle pratiche e delle convinzioni “quotate in borsa” indipendentemente dalla loro veridicità, e ritiene parte di quest’attività insabbiare, depistare e confondere. Dall’altra c’è chi è scientificamente preparato ed in grado di rilevare e smascherare le imposture, ma teme di esporsi a querele od attacchi personali di chi è organizzato per tutelare e difendere un interesse economico. Questa condizione lascia la verità senza avvocati. In una società che tende alla parità “democratica” fra il vero e il falso, il torto e la ragione o la magia e la scienza, purché abbiano sostegno finanziario, confondere le idee attraverso varie forme di comunicazione è un primo passo per la conquista sia dell’opinione della maggioranza, sia di quella di operatori sanitari carenti in formazione scientifica, ideale target di mercato dei manovratori occulti dell’industria delle cosiddette “medicine alternative”.
Un quadro confuso crea dubbi ed incertezze nel riconoscimento di un valore o di un senso, giovando soltanto al falso che, in quel marasma, è messo sullo stesso piano del vero. In questa cornice si inquadra il libro del giornalista Michel de Pracontal Les mystères de la mémoire de l’eau[19], così come le riedizioni abusive o le fotocopie dell’articolo originale pubblicato su Nature; operazioni che hanno buon gioco perché l’INSERM non ha alcun interesse a tornare sulla vicenda, sperando che si dimentichi il coinvolgimento dell’istituzione, lasciando i propagandisti unica voce al riguardo.
Vale la pena soffermarsi brevemente su alcune caratteristiche del sapere scientifico che troppo spesso si danno per note ed acquisite ma, se così fosse, non dovremmo avere “medici omeopatici”.
La scienza non fornisce verità assolute, ma un vero relativo ad un metodo, cioè una oggettività riproducibile, la cui utilità è data dalla possibilità di conoscere le condizioni in cui l’oggetto/evento/fenomeno esiste. Tutti, dotati degli strumenti, possono riprodurre quel vero. La Matematica, fondamento universale del sapere scientifico, si basa sulla coerenza interna dei suoi  sistemi logici; la Fisica, la Chimica e tutte le discipline sperimentali da queste derivate, si basano sulla verifica empirica di ipotesi sviluppate nell’ambito di conoscenze pregresse seguendo una coerenza logica sulla falsariga di quella matematica. E’ il caso tipico della ricerca biomedica di base (biochimica, genetica, biologia molecolare, patologia molecolare, immunologia, ecc.) in cui l’esperimento consente di mettere alla prova un’ipotesi in una forma oggettiva e ripetibile, riscontrando il risultato con i sensi[20]. I grandi progressi che le discipline scientifiche hanno consegnato alle società moderne si basano in gran parte sulla regola della ripetibilità dei risultati in laboratori diversi e concorrenti. Il concorrente agisce da severo giudice perché ha tutto l’interesse a dimostrare l’errore dell’altro, così come ha interesse a riconoscere il vero ed il giusto nell’altro, perché ciò gli consentirà di essere secondo e non ultimo nella competizione generale. Questo non vuol dire che il sistema della scienza sia un sistema perfetto, tutt’altro, ma questa è senz’altro la parte migliore e, probabilmente, uno dei migliori sistemi di garanzia di successo che le imprese del sapere umano abbiano mai concepito.
Questa sintetica caratterizzazione ci consente di definire un punto fondamentale per la nostra discussione, cioè che il vero scientifico è sempre il risultato di un processo di conoscenza empirica e critica che si basa a sua volta su altri risultati ottenuti sempre, come si è soliti dire, per tentativo ed errore, imparando da codesti errori. Alcuni risultati della ricerca vengono generalizzati come procedure di laboratorio, ottenendo ogni volta che li si impiega, ovvero migliaia di volte in tutto il mondo, verifica sperimentale. Al contrario, saperi come quelli di molte “medicine alternative” e dell’omeopatia, sono caratterizzati dal fondarsi su dogmi indimostrati che si considerano veri fino a prova del contrario. Questa è la ratio delle verità rivelate tipica del sapere religioso, che si colloca in tutt’altra sfera rispetto all’umile conoscenza empirica della materia e dei suoi fenomeni, anche ammesso che vi sia una divinità degna di fede che abbia rivelato agli uomini i principi dell’omeopatia. Come ci insegna l’Antropologia, la ratio di questi saperi proviene da epoche in cui lo studio empirico della realtà era impossibile per mancanza di mezzi adeguati.
Molti omeopati spiegano agli scettici che l’omeopatia cura i sintomi non le malattie, ma in genere non ne conoscono il motivo. Se lo conoscessero, saprebbero anche che quella pratica non è compatibile con la medicina scientifica e nemmeno con le più elementari nozioni di patologia note da secoli. Infatti, un assunto di base della teoria omeopatica è che quasi tutte le malattie abbiano la stessa patogenesi. L’omeopatia moderna fu concepita nel 1800 da Samuel Hahnemann come variante dell’arcaica Magia Simpatetica, dalla quale trae la teoria: “Tutte le malattie tranne le sicosi[21] e la sifilide sono causate da un miasma di psoriasi”[22]. Quella magia non conosce la struttura atomica e molecolare della materia inorganica ed organica e, pertanto, suppone che in ogni cosa, sia esso un sasso che un organismo vegetale o animale, vi sia un’essenza sui generis. Coerentemente con questa idea primitiva, molto diffusa nel pensiero arcaico, l’omeopatia suppone l’esistenza di proprietà legate a questa “essenza”.
Un omeopata tedesco partendo da due proprietà che l’omeopatia attribuisce al peperoncino, ossia quella di conferire colore rosso acceso alle guance e stimolare la nostalgia di casa, nel 1983 propose su rivista considerata autorevole nella sua realtà culturale, una terapia a base di peperoncino alle solite “diluizioni” per gli 11 milioni di lavoratori stranieri residenti nell’Europa occidentale[23]. Se si pensa all’ortaggio in questione come ad un vegetale dal quale estrarre principi attivi, ossia si ragiona in termini molecolari, non se ne giustifica l’impiego particolare se lo si diluisce ben oltre la scomparsa di ogni traccia. Si deve invece tener conto dell’essenza. In altre parole nel peperoncino c’è una qualità intrinseca che definisce le sue caratteristiche e le sue proprietà, incluse quelle in grado di produrre effetti nell’uomo (sintomi) che è propria dell’essere peperoncino e non carota. Questa qualità obbedisce ad una proprietà[24], ovvero quella di determinare effetti opposti se data in concentrazioni negative. Quest’ultimo concetto, che resterebbe poco chiaro qualora si tentasse di spiegarlo in termini logici, si comprende bene alla luce del meccanismo magico di “annullamento”: un’azione inversa rispetto a quella che ha prodotto un determinato effetto produce l’effetto inverso, annullando il precedente.[25]
L’omeopatia, rispetto ad altri tipi di terapie non scientifiche o “medicine alternative”, costituisce un caso molto speciale, soprattutto perché ha creato una sua industria “farmaceutica” con un budget che le conferisce un importante peso economico, ma anche perché è sponsorizzata dalla famiglia reale inglese, in grado di influenzare in tutto il mondo ambienti a loro volta influenti.
Proprio in Inghilterra, il rettore ed il preside della facoltà inglese di omeopatia mentre si ergevano a garanti del sapere affermando in un discorso l’importante funzione dell’istituzione da essi rappresentata per evitare che “alcuni medici con una cattiva preparazione e non qualificati possano prosperare e sostenere teorie folli”[26], si rendevano protagonisti delle più assurde prescrizioni. Il rettore, ad esempio, prescriveva “alle ragazze vittime di una delusione amorosa e alle donne che non sono mai riuscite a sfogarsi con le lacrime […] affinché si sciolgano, sali da cucina a diluizioni tali che è improbabile trovarne una molecola in un’intera botte”[27]. Ovviamente il razionale terapeutico è dato dal fatto che le lacrime sono salate.
E’ evidente che uno studente della facoltà di Medicina che abbia compreso anche solo i concetti salienti delle materie di studio del primo anno di corso non può accettare roba come la patogenesi universale dovuta al miasma di psoriasi, la capacità del peperoncino di agire sul cervello determinando nientemeno che la nostalgia di casa o l’importanza del sapore delle lacrime per una terapia farmacologica della delusione d’amore a base d’acqua che “si ricorda del sale” che ha incontrato. Allora come si spiega l’alto numero di medici laureati in Francia, Inghilterra, Germania e Italia che associa queste pratiche alla medicina scientifica?
Non ci attarderemo oltre sul concetto di dinamizzazione che conferisce energia vitale attraverso lo scuotimento, eccetto che per rilevare che rientra nel quadro del paradosso di inversione che caratterizza la “diluizione”: più si diluisce più, scotendo, aumenta la “potenza” della pozione magica. A tutto il sapere omeopatico si può applicare lo stesso aggettivo: arcaico.
Ma, se si pensa al concetto omeopatico di diluizione che, come già si è rilevato, diluizione non è, si deve dire che basta il buon senso di un bambino di 10 anni per rendersi conto dell’assurdità. Una concentrazione adoperata in omeopatia è quella detta 12c che corrisponde a 1024. Per rendere più evidente la proporzione Von Baeyer propone un esempio noto come il “Teorema dell’ultimo respiro di Cesare”. Se consideriamo che l’ultimo respiro di Cesare abbia avuto il volume di un’espirazione media e che si sia distribuito uniformemente nell’atmosfera terrestre attraverso gli anni, considerato che il volume dell’atmosfera corrisponde alla capacità dei nostri polmoni per dieci alla ventiquattresima, dobbiamo dedurre che ad ogni inspirazione inaliamo una molecola dell’ultimo respiro di Cesare[28].
E’ proprio difficile credere alla buona fede di operatori di omeopatia che si siano soffermati solo per qualche istante con attenzione sugli strumenti che impiegano. Ma deve fare ancor più riflettere il fatto che i trials per testare la validità dell’omeopatia sono un affare dell’800 quando, fra gli altri, se ne occupò James Young Simpson (1853)[29], divenuto famoso per aver introdotto l’uso del cloroformio come anestetico generale. Già allora si dimostrò che si trattava di una grande impostura[30] ed ora nel terzo millennio siamo ancora alle prese con i fantasmi di una follia molto redditizia. Infatti, se ci stupisce l’esempio del respiro di Cesare, che diremo del fatto che i rimedi più impiegati sono contrassegnati come 30c ovvero 1060? In un articolo redazionale su Medical Press del 1879 dal titolo “Omeopatia Impazzita” a proposito della diluizione 30c si faceva questo esempio: “l’equivalente di un granello di sale in una quantità di diluente tale che basterebbe a riempire diecimila miliardi di globi, ciascuno tanto grande da contenere l’intero sistema solare”[31].

Il caso Benveniste, è esemplare in tutti gli aspetti di una vicenda che si trascina dalla metà del XIX secolo: l’impostura, il consenso in buona e cattiva fede di ignoranti ed interessati, lo smascheramento e, poi, l’oblio di quest’ultimo. Se dobbiamo notare cosa è cambiato, non possiamo esimerci dal fare un rilievo negativo che, però, non deve indurci al pessimismo. Questo rilievo consiste nel notare la crescente contaminazione della Medicina contemporanea con pratiche non scientifiche ed anacronistiche. Il problema è di proporzioni epocali e richiederebbe un approfondimento ed uno studio a sé, vogliamo solo accennare ad alcune delle cause che ci sembrano più evidenti, proponendole alla riflessione e al dibattito:

1.      La mancanza di una formazione scientifica realmente concettuale e critica.
2.      La passività come atteggiamento mentale in molti modelli sociali e culturali.
3.      L’indebolimento o la perdita di collegamento fra valori ideali e valori personali.
4.      La fiducia cieca ed acritica in ciò che si afferma sul mercato.
5.      La perdita di responsabilità sociale e culturale dei professionisti di alta qualificazione.
6.      L’estensione del paradigma politico-giornalistico alla gestione di ogni forma di sapere.
7.      La mercificazione della cultura.
8.      La perdita di un sistema di valori morali alti cui ancorare la deontologia professionale.

Si potrebbe continuare ancora per molto, ma ci fermiamo qui in attesa delle prossime occasioni di discussione e dibattito sull’argomento, che rimarrà sempre attuale per noi di BRAIN MIND & LIFE, fino a quando ci saranno omeopati e ci saremo noi, per rispetto della verità che è sempre rispetto di tutti.

Filippo Rucellai, Rita Cadoni e Giuseppe Perrella – BM&L
Questo post è stato tratto dal sito di "BRAIN MIND & LIFE Società Nazionale di Neuroscienze BM&L Italia, Fondata nel 2003".

mercoledì 10 agosto 2011

DISINFORMATORE

Signore e Signori,
Sono nientepopòdimenoche un DISINFORMATORE!
Sono infatti entrato a fare parte della lunga lista nera di Rosario Marcianò alias Straker.
Perché direte voi?
Perchè sono un cantante.
O meglio, ero un cantante.
Infatti i sofisticatissimi sistemi di ricerca del comitato Tanker Enemy mi identificano come "cantante solista nel gruppo OCTAVE", quando invece suddetta band si sciolse nel lontano 2005. Come possa un cantante avere attirato l'attenzione di un cacciatore di "cisterne", è tutto da scoprire, ma tant'è, ed io non ci sputo sopra! Sono onorato di questo "titolo" affibiatomi dal sanremese, vedere il mio nome vicino a quello di vere e proprie icone del debunking è una vera soddisfazione. E' altresì interessante notare però come il "nostro", nella sua "indagine" non abbia nemmeno capito come il mio nome si scriva.
La grafia esatta infatti è Massimiliano "de" Capua e non Massimiliano "De" Capua.
Si lo so, è un cavillo, ma su due dati ricavati dalla grande indagine, due non sono corretti. Ora se è questo lo standard qualitativo delle indagini dei Marcianò, e lo è (mi scusi Marcianò, ma è storia), si evince limpidamente perchè la teoria delle scie chimiche poggi le sue basi sul nulla. Beh, sul nulla proprio no, diciamo più su "illazioni e vaghe fantasie". Allo stesso modo in cui, secondo Straker, io canto ancora in un gruppo che non esiste più e il mio nome si scrive con la lettera maiuscola.
A cornice di questa "indagine", le ghignate infantili che il "nostro" si concede, a cose fatte, con i "suoi bravi" (vedere qui), e la probabile incursione del mitico "comandante" nel mio post precedente per farmi partecipe del fatto di avere smascherato la mia identità (manco fossi un supereroe), evidenziano come 50 anni di vita possano essere malamente spesi.

Aggiornamento: Ha pubblicato anche una foto del 2007 e la mia città di residenza (ovviamente anch'essa sbagliata, e per ben due volte, nell'ortografia: Forli' e Forli invece di Forlì), ed il mio profilo Google+...
Signor Rosario, visto che le ricerche non le sa fare, dia retta a me, in questo stesso blog troverà una foto del sottoscritto molto più recente, per giunta abbracciato ad un suo acerrimo nemico...
Ah, non mi ringrazi...

lunedì 8 agosto 2011

OMEOPATIA, UN COMMENTO DI LEFOURELOADED

Riporto qui, un commento scritto da LeFouReloaded (un ormai noto debunker) che condivido totalmente per acidità e argomenti. E' ora di finirla con una "pseudoscienza" che vorrebbe essere scienza ma non ci riuscirà mai. Mettetevelo bene in testa, l'acqua non ha, e mai potrà avere memoria, se così fosse le leggi della fisica e della chimica sarebbero tutte da rivedere, mentre invece mi sembra che fino ad oggi abbiano funzionato più che a dovere. Ne è una prova il fatto che io sia qui a scrivere da questo PC, o che per andare in vacanza prenda un "coso" che pesa svariate decine di tonnellate pur librandosi agilmente nell'aria.
Ad ogni modo ecco il commento tratto da "Voglia di Terra, pensieri agricoli" (di nome e di fatto, direi, visto l'italiano con cui è scritto il post) :

@ste
Attualmente con i metodi della scienza non si possono distinguere o non si può dimostrare un effetto curativo. Su questo possiamo essere d’accordo?” No.
Vuoi dimostrare un effetto curativo? Benissimo: l’hanno già fatto. E NON CURA. È stato già già DIMOSTRATO che l’omeopatia è ACQUA SPORCA. E non è stato dimostrato guardandoci dentro e SUPPONENDO che non funzioni, ma DIRETTAMENTE DAI RISULTATI.
E non sono “i metodi della scienza”, come qualcuno insiste a chiamare un semplice e banalissimo conteggio di come reagiscono i pazienti dopo la somministrazione. A meno che fare UNO DUE TRE con le dita non diventi improvvisamente “IL METODO DELLA SCIENZA”.
E lo ripeto in un altro modo così sarà ancora più chiaro di quello che già non sia adesso.
Come fai a misurare l’”effetto curativo” (l’hai scritto tu) di una sostanza omeopatica? Si misura L’EFFETTO (quello che succede, quello che si realizza) CURATIVO (che cura: prima ho un male, dopo non ce l’ho). Quindi si misura come QUELLA sostanza riesce a CURARE. Altrimenti stiamo parlando di profumo per ambiente, salvezza spirituale, soprammobile originale ma NON DI CURA.
C’è purtroppo un problema: la gente ha la pessima abitudine di GUARIRE DA SOLA. Quindi siccome guarisce anche con l’acqua di rubinetto, si confronta la sostanza omeopatica (che contiene memoria di gelsomino) con l’acqua di rubinetto (che contiene memoria di autoclave e merda di topi morti).
Quindi si vede se la gente guarisce di più con l’acqua omeopatica o quella di rubinetto.
Infine per evitare che qualche medico svitato si metta a somministrare supposte per via endovenosa, si stabilisce il PROTOCOLLO DI SOMMINISTRAZIONE. E se è una sostanza omeopatica, SI FA SCRIVERE AD UN OMEOPATA. Così nessuno può frignare dicendo “è colpa dei medici che non conoscono la sublime arte della sostanza omeopatica e non hanno preso il diploma omeopatico”, come invece ha coscienziosamente fatto Paolino Paperino.
Quindi, se la meravigliosa acqua omeopatica AVESSE EFFETTI CURATIVI, come tutti sembrano ansiosi di capire, dovrebbe curare PIÙ DELL’ACQUA DI RUBINETTO.
Nel caso dell’omeopatia, la memoria di gelsomino e la memoria di merda di topo morto sono identiche. Fine degli effetti curativi dell’omeopatia.
————————————————–
Obiezione: “ma io/mia nonna/un amico/amica è/sono guarito/a/i con l’omeopatia, quindi funziona”
Benissimo. Avete appena dato validità al “METODO DELLA SCIENZA”: avete “CONTATO”. Ma avete contato SOLO FINO A UNO ed avete narrato episodi non misurabili e che non formano statistiche. Infatti non avete narrato gli innumerevoli episodi nei quali la gente NON GUARISCE con l’omeopatia, e sono QUELLI che fanno la differenza.
Altrimenti per guarire andate a Lourdes. Dicono che uno sembra sia davvero guarito. Ora potete demolire gli ospedali.

LeFouReloaded

venerdì 5 agosto 2011

LA VERA FACCIA DELL'OMEOPATIA

Se l'acqua ha memoria allora l'omeopatia è piena di merda.
Omeopatia: merda e zucchero
Dedicato a tutti quelli che parlano bene dell'omeopatia dicendo che le aziende farmaceutiche sono  parte di un grande complotto atto alla censura di rimedi molto più efficaci e privi di effetti collaterali...
Questa è la prova inequivocabile che è bensì l'omeopatia a voler fare censura.
Perché? Ovvio, perché non avendo alcuna prova della sua efficacia, teme che troppa pubblicità al fatto che è solo ACQUA PURA le rovini il mercato. Ciarlatani patentati. Ecco cosa sono.
Leggetevi questo post e aprite gli occhi una buona volta!
Restiamo uniti a Blog(0), facciamo sentire le nostre voci, è ora di dare un taglio netto a questa ignoranza dilagante che ha prodotto negli ultimi anni solo grossi danni.
BASTA!

giovedì 28 luglio 2011

RITORNO AL FUT... PARDON, MEDIOEVO.

-.-
Oggi al lavoro mi sono trovato a parlare con un pranoterapeuta che decantava gli effetti dell'omeopatia in ogni possibile impiego. Diceva che era tutta una questione di apertura mentale, di meditazione. Diceva che con  molti l'omeopatia non funziona perché non sono sufficientemente predisposti mentalmente alla vita, e quindi non riescono ad assorbirne i benefici. Parlava di energia ovunque nel nostro corpo ed attorno a noi, tutta roba (secondo lui) "di cui si parla nella letteratura scientifica da secoli" (sic), e che viene volutamente ignorata per i "soliti motivi". Parlava di "il mio maestro mi dice che..." e di guru indiani (mostrati nientemeno che da Piero Angela in una puntata di Quark!) che "lievitano" a qualche spanna da terra. Tutto questo, secondo lui, si poteva fare a patto di leggere certi libri, accompagnati nella crescita da un "maestro", pena, grandi pericoli non meglio specificati, solo per il fatto di essersi avventurati (sempre grazie alla meditazione), nei "meandri più nascosti del cervello" (sic). Attorno a lui alcune amebe annuivano attonite, io compreso, anche se per motivi totalmente diversi e opposti. Quando pareva aver finito la "ipercazzola", pacatamente (trattenendomi dal ridere e dal fargli un lungo pernacchio), gli ho chiesto a che libri si riferiva, che letture mi avrebbe consigliato per "iniziarmi". Lui è stato colto alla sprovvista dalla domanda, e dopo qualche titubanza ha risposto: "mah i libri sarebbero moltissimi, PIU' DI UNA DECINA, io però ti consiglio di partire da Internet, li senza alcuna difficoltà trovi tutto, ed in maniera molto più economica."

martedì 31 maggio 2011

CENSURA PREVENTIVA



Riappaio dal blog-torpore per farvi partecipi di questa ulteriore conferma (non che ce ne fosse poi così tanto bisogno) che i complottisti sono degli spostati...
Poco fa colto dall'irresistibile voglia di lasciare un segno, a cornice del video di un noto canale complottista (nel quale non avevo mai commentato prima, ci tengo a sottolinearlo), mi sono imbattuto nell'incredibile.
Bloccato.
Come "costoro" possano sapere il mio pensiero prima che io lo esprima, è un gran brutto segno...
Non so se sentirmi lusingato, o dovermi preoccupare piuttosto per l'enorme quantità di tempo libero che "costoro" hanno a disposizione...
Infatti questo fatto prova che loro leggono i siti di debunking (questo, loro malgrado, si sapeva) e ne controllano i lettori, arrivando, quando possono, a praticare censura preventiva per evitare che i commenti scomodi possano apparire anche per poche ore nei loro siti/canali/blog fogna.
Il complottista beccato a complottare.
La scoperta dell'acqua calda insomma...

martedì 22 marzo 2011

A TU PER TU CON L'NF-104A: CHUCK YEAGER ED IL VOLO AD ALTA QUOTA

NF-104A


"[...]Stavo volando a oltre Mach 2 quando accesi il razzo di coda, che aveva una spinta di 2.700 chilogrammi e bruciava una miscela per aviogetti di acqua ossigenata e cherosene. Stavo salendo con un ripido angolo di settanta gradi, e superavo fischiettando i 18.000 metri, quando il post-bruciatore si spense per la mancanza di ossigeno.
Fin qui tutto previsto.
Avevo poi stabilito di entrare in una leggera picchiata per consentire alle palette del motore, azionate dal flusso dell'aria, di girare e di raggiungere un numero di giri sufficiente a consentirne la riaccensione nell'atmosfera più densa delle quote inferiori, a 12.000 metri circa. Cosi spensi il motore e lasciai che il razzo mi portasse alla quota massima. Dovevo controllare la temperatura dell'ugello di scarico, perché anche a motore spento si sarebbe riscaldato a causa dell'angolo di salita particolarmente elevato.
Raggiunsi la quota massima di 31.200 metri.
L 'aereo completò la sua lunga traiettoria ad arco, quindi prese a cadere. Ma appena l'angolo d'incidenza raggiunse i ventotto gradi, ecco il pitch-up (1). Era già successo durante il volo del mattino, e per interrompere il fenomeno avevo usato i piccoli razzi direzionali del muso (2) spingendo quest'ultimo in giù senza alcun problema.
Ora, invece, quei maledetti razzi non ebbero nessun effetto.
Continuai a lasciare aperti gli sfiatatoi dell'acqua ossigenata, consumandola tutta nel tentativo di abbassare il muso, ma fu inutile. Quel maledetto muso restava puntato in alto, finché l'aereo cadde di piatto ed entro in vite. Scendevo in vite come un disco su un fonografo; ma non potevo picchiare leggermente per far scorrere l'aria attraverso la turbina del motore, e il numero dei giri per minuto andava riducendosi al minimo.
Mancava la pressione idraulica fornita dal motore, avendolo io rallentato, finché andò in bloccò a diecimila metri circa.
Avevo ormai perduto ogni speranza.
Più tardi avremmo appreso dal registratore di volo che prima di schiantarsi nel deserto l'aereo aveva compiuto quattordici giri di vite piatta da 31.200 metri.
Rimasi a bordo per tredici giri, poi tirai la maniglia d'espulsione. Detestavo perdere un velivolo tanto costoso, ma non avevo alternative. Tirata la maniglia d'espulsione, la mia tuta pressurizzata si gonfiò e la carica del razzo posta sotto il seggiolino sparò verso l'alto me e lui a centocinquanta chilometri all'ora. Un congegno automatico mi slacciò la cintura di sicurezza e contemporaneamente sganciò dal seggiolino l'anello del paracadute. Un 'altra piccola carica mi scaraventò fuori dal seggiolino. Cominciai a cadere accelerando; rotolavo a testa in giù verso terra quando vidi quel maledetto seggiolino che rotolava accanto a me impigliandosi nelle funi del paracadute. La carica del razzo aveva appiccato un piccolo incendio allo schienale, che bruciava ancora e che a sua volta stava appiccando il fuoco alle funi.
Cristo, proprio cosi.
Il paracadute si aprì con uno scrollone ma io sudavo freddo, avevo paura che le funi si fossero completamente bruciate. Aprendosi, il paracadute si liberò del seggiolino e io tirai il fiato, ma subito ricevetti un colpo in faccia. Mi aveva colpito il tubo di scarico arroventato del razzo.
Persi le forze e il coraggio.
Il colpo fu cosi forte che non riuscivo più a connettere ne a capire che cosa stesse succedendo. Mi fu strappato via il frontale del casco e vidi le stelle. Improvvisamente, un ruggito. Il materiale incendiato del sedile aveva dato fuoco alla guarnizione di gomma del casco che, a contatto con l'ossigeno puro, divampò come una torcia. Avevo la testa avvolta dalle fiamme e dal fumo. Non potevo respirare. Non riuscivo a vedere dall'occhio sinistro, colpito dal seggiolino. Stavo morendo asfissiato dal fumo, e boccheggiavo per riuscire a respirare. Infilai la mano nel casco attraverso l'apertura in cui una volta si trovava il frontale, cercando di raccogliere l'aria per respirarla. La mano guantata prese fuoco. Pensai: "Un bel modo di crepare!" Ero ancora collegato alla bomboletta d'ossigeno d'emergenza, che alimentava le fiamme. D'istinto alzai la visiera di quello che restava del mio casco, provocando automaticamente la chiusura dell'ossigeno. Ero molto vicino a terra e dal casco uscivano ancora fiamme, fumo e morchia. Sbattei duramente contro il terreno. Sentivo Andy che mi sorvolava a bassa quota, e al secondo passaggio riuscii a fargli segno col braccio. Poi mi alzai e mi tolsi l'imbracatura del paracadute, liberandomi dalle funi bruciacchiate con le mani nude. Spinsi i pulsanti di rilascio del collare che collegava la tuta pressurizzata al casco, e facendolo ruotare me lo tolsi.
E’ letteralmente impossibile raggiungere e sganciare da soli quei nottolini;
come diavolo ci sia riuscito, ancora non lo so.
Ricordo di aver guardato il casco con l 'unico occhio buono che mi restava e mi sembrò di essere di nuovo in guerra(3). Era coperto di sangue, bruciato e pesto. Stavo lì in piedi nel deserto, intontito, il casco agganciato sotto il braccio, la mano che mi faceva tanto male da sentirmi svenire. La faccia, invece, non mi doleva. Vidi correre verso di me un giovane; ero caduto a un paio di chilometri dalla strada numero sei, che collega Bishop col Mojave, e quel ragazzo mi aveva visto atterrare col paracadute, aveva fermato il camioncino e era venuto a offrire aiuto. Mi guardò e si girò dall'altra parte.
La mia faccia sembrava carne carbonizzata.
Gli domandai se avesse un coltello.
Tirò fuori un temperino, apri la lama e me lo porse. Gli spiegai: "Devo fare qualcosa alla mano. Non resisto oltre. Usai il temperino per tagliare il guanto foderato di gomma, ma vennero via anche due dita bruciate.
Il ragazzo vomitò.
Poi arrivò l'elicottero. Ricordo che gli infermieri mi corsero incontro. Domandai: "Potete fare qualcosa per la mia mano? Mi sembra di morire". Mi fecero un'iniezione di morfina attraverso la tuta pressurizzata. Non potevano togliermi la tuta perché dovevano aprire la lampo per tutta la lunghezza, poi dovevo fare
passare la testa fuori dal collare metallico ad anello, ma la mia faccia era in condizioni talmente penose che non ne ebbero il coraggio. In ospedale, fecero intervenire i pompieri per tentare di tagliare il collare con le cesoie. Finché mi venne in mente una cosa: "Cercate la sega, è nella tasca destra della mia tuta".
Era una piccola sega a nastro che terminava con due anelli; la portavo sempre con me anche durante le gite in montagna, e in men che non si dica tagliarono quel collare. Sotto l'effetto della morfina, cominciai ad assopirmi, solo a metà consapevole della presenza di Glennis, ma Stan Bear, il medico della base, continuava a scuotermi per tenermi sveglio. Stava sondando attraverso il sangue disseccato sopra l'occhio sinistro, dove mi ero fatto un taglio profondo. Il sangue era stato per cosi dire vetrificato dal calore dell'incendio e Doc continuava a frugarci dentro, chiedendomi se riuscissi a veder qualcosa.
Dissi di no.
Lo sentii mormorare: "Cristo, temo che lo abbia perso". Ma improvvisamente vidi un raggio di luce attraverso un forellino. Avvertii subito Doc, che sorrise: "Il sangue disseccato ti ha salvato la vista, amico".
Finalmente mi diede il permesso di svenire.
Mi misero una flebo; il giorno dopo ero cosi intontito che caddi addormentato nel bel mezzo di una frase mentre tentavo di raccontare al generale Branch che cosa mi fosse successo. Vennero a trovarmi Glennis, Andy, Bob Hoover e il pilota collaudatore Tony Le Vier, ma io si e no me ne rendevo conto. Continuavano a somministrarmi analgesici. Passarono vari giorni prima che mi accorgessi di quanto ero mal ridotto. La faccia era gonfia come un melone e abbrustolita da quella specie di fiamma ossidrica.
Il vecchio Stan Bear venne a sedersi accanto a me.
"Bene, Chuck, ho da darti qualche buona notizia e qualche altra cattiva. Cominciamo con le buone: i polmoni non hanno subito danni permanenti e anche l'occhio sembra star bene. Io, però, dovrò farti male, tanto quanto non ne hai mai provato in tutta la vita, per impedire che tu rimanga sfigurato per sempre.
E dovrò farlo ogni quattro giorni".
Rimasi all'ospedale un mese e ogni quattro giorni Doc mi grattava via la crosta che si stava formando, partendo dal centro della faccia e del collo. Era una nuova tecnica messa a punto per evitare che si formassero orribili cicatrici incrociate mentre la pelle cresceva sotto la crosta.
Funzionò benissimo.
Mi sono rimaste soltanto poche cicatrici sul collo, ma la faccia è guarita ed è rimasta perfettamente liscia. Tuttavia non avevo mai provato un dolore simile. Alla fine di tutto, però, avevo perduto soltanto la punta di due dita: tutto sommato, un prezzo abbastanza equo.[...]

(da "Vivere per volare" ed. Longanesi)

Dedicato ovviamente a chi ha fatto della sua vita un esempio di cialtronaggine, inutilità e codardia.

(1) Era un fenomeno normale nell'F104, il pitch-up.
Era dovuto alla posizione del piano di coda rispetto alle ali.
Ad una certa velocità, e con un certo angolo di attacco (superiore ai 20°), le ali mettevano "in ombra" il piano di coda che diveniva inservibile, provocando quello che viene chiamato un "superstallo". Se riscontrato al decollo, il pitch-up aveva come unica soluzione l'espulsione del pilota. ndr
(2) Questo modello di F-104 era dotato di RCS (Reaction Control System, una serie di ugelli posti nel muso e nelle estremità alari, molto simili a quelli usati dal LEM nelle missioni Apollo), che ne facilitava il controllo alle alte quote. ndr
(3)  Chuck Yeager fu pilota di P-51 durante la seconda guerra mondiale, e venne abbattuto sopra la Francia. ndr

lunedì 21 marzo 2011

JOHN PAUL STAPP



Il colonnello J.Stapp, negli anni 40/50, mise a repentaglio la sua vita per rendere più sicuri i suoi uomini durante la fase di eiezione in volo.
E' stato infatti il precursore dei moderni manichini da crash test.
Ha sottoposto il suo corpo alle più incredibili forze di accelerazione e decelerazione, raggiungendo infine l'impressionante cifra di 47G.
Ossia di 47 volte il suo peso.
Durante la sua carriera di crash test dummy riportò la frattura delle estremità e delle costole, il distacco parziale della retina, e altri traumi vari.
Dobbiamo molto a quest'uomo, che è stato uno dei fautori della comparsa sulle auto di un famoso e fondamentale dispositivo di salvaguardia del corpo umano: le cinture di sicurezza. Chi ha avuto un incidente ed è salvo grazie ad esse, deve in parte la sua sopravvivenza quindi a quest'uomo.
Verso la fine del video si può vedere forse la sua più spericolata avventura: una corsa su rotaia all'impressionante velocità di 632mph (1.017 km/h).
Il primato importante non sta tanto nella velocità raggiunta (che lo portò comunque ad essere per lungo tempo l'uomo più veloce sulla terra) quanto alla frenata, eseguita in meno di due secondi.
La decelerazione conseguitane comportò l'esposizione del suo corpo all'impressionante dato di 43G, la stessa sollecitazione che un corpo umano subisce schiantandosi contro un muro a 70mph (113 km/h) provocando il sanguinamento dei suoi occhi a causa dell'esplosione dei capillari e la temporanea cecità.
Per diverse volte viaggiò (sempre con lo scopo di sperimentare l'estensione dei limiti umani) sul suo aereo sprovvisto di cupolino a velocità superiori a 900 km/h senza alcuna protezione, non riportando alcun trauma.
Era diventato famoso anche per i suoi aforismi dei quali teneva un aggiornato diario (ne pubblicò una raccolta nel '92) uno dei quali recita: "L'universale attitudine dell'uomo all'inettitudine, rende ogni sua realizzazione un miracolo incredibile". E' stato anche probabilmente il divulgatore primo della legge di Murphy, maggiore dell'esercito con il quale spesso si trovò a lavorare.
Nonostante la sua vita ai limiti, mori alla veneranda età di 89 anni nel 1999.

Fonte Wikipedia.
Dedicato ovviamente a chi ha fatto della sua vita un esempio di cialtronaggine, inutilità e codardia.